Dior Haute Couture: la moda che reagisce alla semplicità dei populismi

“Sia chiaro: questi vestiti in foto non rendono niente”. Non ha mezze misure e non fa certo giri di parole Maria Grazia Chiuri, la stilista italiana a capo di Dior. “Non solo”, continua: “qui a Parigi mi devo spiegare in tre lingue di cui due non sono le mie”. È un fiume in piena e ogni collezione è un’esondazione. La nuova sfilata haute couture, poi, è forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Ho fatto una collezione che non si può giudicare dalle immagini e che non vuole essere appariscente, scontata, fotogenica. Al contrario: voglio riportare l’attenzione sui volumi e sulle costruzioni, non sulle superfici o sugli effetti speciali”. Praticamente una dichiarazione di guerra: perché a guardare ogni completo che arriva in passerella, tutto sembra piatto, un filo dèjà-vu, quasi minimalista. Invece è esattamente l’opposto.

Il punto di vista di Maria Grazia Chiuri
“Stiamo vivendo un’epoca in cui siamo troppo chiusi nel presente, in una successione frenetica di istanti e di immagini fuggenti. Ho pensato questa couture come una reazione a questo atteggiamento. Nella sua interezza, la collezione è pensata innanzitutto per riflettere sul valore della tradizione e sulla necessità di pensare, di sognare il futuro, non solo di vivere di presente. In secondo luogo, questo lavoro vuole essere un interrogativo su quanto è importante il tempo, su quanto tempo ci vuole per fare una cosa bella, per prendersi cura di sé. È ora di riportare l’attenzione dall’apparenza alla sostanza, soprattutto per l’alta moda. E la sostanza, in questo caso, vuol dire grande, grandissimo lavoro sui volumi, sulle costruzioni. Un impegno così grande e minuzioso da sparire, da diventare invisibile. Solo da vicino e solo per gli intenditori, quindi, questi abiti si mostrano in tutta la loro grandezza. È una sorta di didattica, di lezione di cultura e tradizione. E sì, penso che queste domande, questi valori rappresentino uno dei nodi più importanti per la contemporaneità”.
La collezione Dior Haute Couture Autunno/inverno 2018/19
Lo spettacolo silenzioso che si presenta in passerella è forse la collezione più bella e matura orchestrata da Chiuri nel suo percorso da Dior. Non ci sono furbizia, citazioni pretestuose e nemmeno slogan da stampare su una T-shirt. Non c’è decoro, funambolismo o copia/incolla da una corrente artistica o da un movimento contestatorio del passato. Il nuovo show celebra semplicemente e senza cliché la grandezza del lavoro di un atelier couture. Per farlo, cita addirittura un libro, ‘Atelier’ di Elisabetta Orsini, trattazione che rimette al centro il lavoro artistico degli atelier di grandi pittori e scrittori seguendo quanto indicato anche da Virginia Woolf nel piccolo capolavoro “Una stanza tutta per sé”. La prima manciata di look dice tutto: linea pura, tessuti studiati con le migliori aziende del mercato, materie prime piegate all’artigianato in modo da conferire leggerezza dove prima c’era pesantezza e modernità dove c’erano classicismo e spirito rétro.
Dior Haute Couture: la moda che reagisce alla semplicità dei populismi La seta doppia si scioglie prodigiosamente perdendo quella patina lucida che fa tanto antico. Il double di cashmere sembra più fresco e croccante del popeline di cotone. Le linee gloriose di tailleur e cappotto del più grande Dior diventano facili e scattanti come nessuna felpa potrebbe mai essere.
E c’è spazio anche per l’inclusività con una serie di creazioni colore pelle, o meglio nude, che in realtà sono pensate per adattarsi alle mille sfumature razziali di ogni donna che si potrà permettere questi capolavori.
Precisa, con pochi colori sapientemente calibrati al ribasso e soprattutto affilata come un coltello, la nuova collezione couture di Dior sferza un fendente alla moda furba, stilizzata, funambolica che spumeggia in superficie mentre muore e si inaridisce nella profondità del suo essere, ovvero nel ri-pensare volumi e costruzioni quindi abitudini e destinazioni d’uso. Al primo vero giorno di haute couture di Parigi è insieme una grande conquista e un monito a tornare a investire in complessità in un momento in cui anche lo stile si fa troppo facile e forse un filo populista.

 

Fonte: Repubblica.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *