Beauty in viaggio: monodose, mini-size e travel kit

Ricordate ancora il beauty case da viaggio? Quella “scatola” con manico, spesso pesantissima e, nelle versioni più chic, coordinata al set di valigie o al borsone da viaggio? Archeologia per le più giovani, che probabilmente non ne hanno mai visto uno. Un oggetto rapidamente entrato a far parte della categoria “modernariato”, messo fuori gioco dalle norme aeroportuali entrate in vigore una quindicina di anni fa e diventate sempre più restrittive nel corso degli anni. Dal sito Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), infatti, apprendiamo le regole vigenti per il trasporto dei liquidi da portare in cabina e nel bagaglio a mano in generale: i liquidi devono stare in contenitori di capacità non superiore a 100 ml o equivalente, inseriti in un sacchetto di plastica trasparente e richiudibile di capacità non superiore ad un litro.

LA BELLEZZA NON VA MAI IN VACANZA
Norme abbastanza restrittive, tano che viaggiare per lunghi periodi, attualmente, costringe a escogitare soluzioni di sofisticato pensiero e spesso di astuzia machiavellica, se non si vuole rinunciare, anche lontani da casa, all’abituale routine di bellezza e al personalissimo armamentario di creme, lozioni, shampoo e profumi. Perché questo è il tasto dolente: le norme di sicurezza sugli aerei (sacrosante, per carità!), paiono essere fatte apposta per svilire l’immagine di sé, per mettere alla prova anche le meno beauty addicted, le frequentatrici meno accanite di profumerie e affini. E soprattutto pare non tenere conto del fatto incontrovertibile che “la bellezza non va mai in vacanza!”. “Aiuto, cosa metto in valigia. E nel beauty case? Quali e quante cose posso portare?”. Sono infatti solo alcune delle domande che tutti ci poniamo prima di un viaggio, più o meno lungo che sia, condizionati dalle restrizioni dovute ai mezzi di trasporto (vedi l’aereo) o dall’ansia di dover portare tutto, anche quello che solitamente non utilizziamo semplicemente perché “magari mi potrebbe servire…”, il che evidentemente rende la preparazione del necessaire alquanto complicata. Anche perché, soprattutto se si viaggia in aereo, è d’obbligo alleggerirsi il più possibile, ottimizzando spazi e pesi, a razionalizzare e a portare il meno possibile, l’indispensabile e magari in formato mignon. Il che non è sempre facile, soprattutto per quelle di noi abituate a una certa routine e poco disposte a scendere a compromessi. O, ancora più difficile trovare una mediazione per coloro che invece fanno proprio fatica a “viaggiare leggero”.

BELLEZZA IN VIAGGIO
È proprio per venire incontro a queste esigenze (che spesso tolgono il sonno alle più precise), che sempre più aziende cosmetiche si stanno adattando offrendo comodi e pratici formati travel kit completi di tutto l’occorrente per la cura del viso e del corpo, per l’abbronzatura, per l’igiene personale. Oppure lavorano sui formati, riducendoli sempre più fino a farne dei mignon. Per non parlare dei monodose, soprattutto per quel che riguarda, ultimamente, le maschere di bellezza, le tanto cool sheet mask, perfette anche in sostituzione dell’abituale crema, quando si è in viaggio: sono monodose, piatte in comode bustine e invisibili nel peso. Si possono utilizzare non solo per il viso, ma anche per idratare o dare sollievo ai piedi e per le mani. Un’altra valida soluzione sono i flaconcini vuoti nei quali travasare la crema, lo shampoo, il profumo, il bagnoschiuma preferiti (Sephora è maestra nel genere). E poi palette per il trucco complete di tutto, la lacche per capelli formato mignon, kit per i denti e per le lenti a contatto, gel e salviettine igieniche e struccanti, mini-trousse con tutti i solari indispensabili e addirittura quelle con il necessaire per un perfetto bucato fuori casa, la mini-spazzola, le capsule monodose della crema preferita da portare contate, il mini phon e la piastra e… addirittura il mini-ferro da stiro, Nuvola di Imetec. Insomma innumerevoli soluzioni dalle più basic alle più sofisticate ed eleganti che sicuramente facilitano la vita della viaggiatrice che non vuole rinunciare alla bellezza.

 

Fonte: Repubblica.it

Jennifer Lopez compie 49 anni: l’incredibile metamorfosi della bomba latina in star mondiale. I look ieri e oggi

Jenny from the block non abita più qui. Almeno a un primo sguardo. L’incredibile metarmofosi estetica e stilistica di Jennifer Lopez raggiunge il suo apice alla soglia dei 50 anni: la diva ne compie 49 (il 24 luglio) e va giustamente orgogliosa della sua vita, della sua carriera e della sua bellezza. Tutte costruite con una infaticabile caparbietà che dal 1990 a oggi ha visto JLo conquistare il mondo. Eppure le carte che aveva in mano alla nascita a New York non erano delle migliori: cresciuta in una famiglia portoricana di umili origini, in un quartiere difficile, Jennifer poteva fermarsi lì. Ma fin da bambina è determinata a uscire dai confini ristretti della sua comunità, anche se non la rinnegherà mai. Fin da piccola segue lezioni di danza e recitazione e quando, compiuti i 18 anni, se ne va di casa è decisa a sfondare. E ci riesce: prima partecipando a qualche video, poi in sit-com popolarissime come Living Color. E continuerà a dividersi tra musica e cinema diventando una delle personalità latino americane più influenti al mondo. Al grandissimo successo JLo affianca un fiuto da imprenditrice: fonda una casa cinematografica, ristoranti, una linea di moda, si lancia nel settore cosmetico, sempre tutto da sola. Gli uomini e i mariti sfilano al suo fianco ma non sono mai determinanti per la sua affermazione. Anzi, come nel caso di Puff Daddy o Ben Affleck, possono nuocerle: il primo la coinvolge in una sparatoria che rischia di mettere uno stop alla sua carriera mentre il secondo la convince a girare un film insieme, Gigli, che si trasforma in un flop catastrofico. Ma Jennifer si è sempre rialzata continuando la sua inesorabile marcia. Un esempio è l’abito iconico verde di Versace indossato proprio per un red carpet con Puff Daddy, agli MTV del 2000: l’abito in voile è uno dei più sexy di sempre ma soprattutto ha segnato uno spartiacque digitale. Nel 2000 Google pubblica la foto e la gente inizia a cliccare per cercare e ricercare l’immagine. I tipi di Google fiutano il successo e decidono di lanciare Google Images per facilitare la ricerca di questa foto. Una rivoluzione culturale che ha fatto entrare JLo nella storia digitale. Al successo di Jennifer si accompagna una vita sentimentale ricca ma meno felice. Nel febbraio 1997 Jennifer si sposa una prima volta con il cameriere cubano Ojani Noa, ma divorziano un anno dopo. Il 29 settembre 2001 sposa il ballerino Cris Judd, da cui divorzia ufficialmente nel giugno 2002. Tra i due ha vissuto la storia con Puff Daddy, mentre dopo il secondo divorzio inizia la relazione con Ben Affleck, che si chiude nel 2004, anno in cui la coppia si sarebbe dovuta sposare. In seguito Jennifer si avvicina all’amico d’infanzia Marc Anthony, stella della musica latina, che sposa nel giugno 2004. La coppia ha avuto due gemelli, Maximilian David e Emme Maribel, nati il 22 febbraio 2008, ma si separa nel luglio 2011 e divorzia ufficialmente nel giugno 2014. Poi si lega al ballerino Casper Smart, al cantante Drake e infine nel 2017 all’ex giocatore di baseball Alexander Rodriguez.

Gisele Bündchen, la super-top compie 38 anni

Secondo gli esperti è stata lei a cancellare in un colpo solo la tendenza verso “l’heroin chic”, vale a dire l’uso di modelle magrissime ed emaciate che ha tenuto banco per anni nel fashion business, riportando in auge un ideale di bellezza più sano e sexy.
Brasiliana di origini teutoniche, 5 sorelle, nasce in una cittadina nel sud del Paese il 20 luglio del 1980. Si fa notare sulle passerelle di New York nel 1996, e da allora non si ferma più. Diventa testimonial, tra gli altri, di Dior, Versace, Dolce&Gabbana, Chanel e Victoria’s Secret, conquista centinaia di copertine, si impegna nel volontariato (è anche Goodwill Ambassador delle Nazioni Unite), e si rivela anche un’ottima donna d’affari: grazie ai suoi brand di abbigliamento è da anni al vertice delle classifiche delle modelle più pagate, primato che non accenna a svanire nemmeno ora che ha dato l’addio ufficiale alle passerelle. Fidanzata per anni con Leonardo Di Caprio, dopo la rottura nel 2009 si sposa a Santa Monica con Tom Brady, campione di football americano, con cui ha due figli: Benjamin, nato nel 2009, e Vivian, nata nel 2012. Cui si aggiunge il primo figlio dello sportivo, John, 10 anni.
Nel febbraio 2018, per il nono anniversario di matrimonio, lo sportivo le dedica una bellissima dedica postando una foto inedita delle loro nozze: “La vita, le risate e l’amore.. e io amo te! Felice anniversario! Te Amo muito!!”. “Amo crescere con te, amore della mia vita”, controbatte lei.
Il 20 luglio Gisele compie 38 anni (di cui oltre 20 passati a fare la modella) e noi la “celebriamo” ripercorrendone la carriera per immagini, tra passerelle e red carpet, dal lontano 1990 a oggi

 

Fonte: Repubblica.it

A tutto volume: dall’Haute Couture di Parigi arrivano le pettinature super cotonate

Le pettinatura più cool del prossimo inverno arrivano dall’Alta Moda di Parigi. E più precisamente dalle passerelle delle sfilate Haute Couture A/I 2018-19 delle Maison Valentino, Chanel, Fendi e Giambattista Valli (giusto per citarne alcune), che hanno creato grazie ai loro make hair stylist pettinature che sembrano opere d’arte. Unico comune denominatore il volume, a volte quasi teatrale con maxi acconciature che diventeranno un vero tormentone anche nelle sere d’estate (per chi gioca d’anticipo e non perde una tendenza). Ma vediamole nel dettaglio. Il maxi volume proposto per le acconciture della sfilata di Valentino sono davvero un sogno: massima cotonatura delle radici per ottenere un volume ad alto impatto, opera di Guido Palau, uno dei nomi più blasonati tra gli hair-stylist nel backstage delle sfilate. Molto interessante anche la versione dei capelli cotonati fermati da maxi fascia di seta proposta da Giambattista Valli. Sam McKnight, mago delle teste, per Chanel ha invece realizzato un ciuffo voluminoso che si avvicina molto al mood Rockabilly, quello dell’estetica anni Cinquanta. Per chi invece ha un’anima molto romantica la versione xxl dello chignon perbene viene da Fendi: chic e di grande impatto

 

Fonte: Repubblica.it

Valentino Haute Couture: standing ovation per Pierpaolo Piccioli

Il teatro degli Champs-Elysées dista poco più di un chilometro dall’Hotel Salomon De Rothschild, il palazzo che ha ospitato la collezione invernale dell’haute couture di Valentino. Nel primo, precisamente alla stessa ora dello stesso giorno, il Tanztheater Wuppertal metteva in scena lo spettacolo Néfes della grande e scomparsa coreografa tedesca Pina Bausch mentre nel secondo Pierpaolo Piccoli orchestrava l’atto finale della sfilata che chiude la quattro giorno di alta moda a Parigi. I due mondi, molto più lontani del chilometro che li separa, hanno in realtà un punto in comune: lo spettacolo travolgente, emozionale e senza filtri che regala chi impara a coniugare ispirazione, movimento e modernità sotto l’estro della libertà d’espressione di sé.

La modella Adut Akech in Valentino Haute Couture
Con uno show che ha scatenato una standing ovation (l’unica vista nella kermesse della couture a Parigi), Piccioli ha compiuto sulla passerella della moda quello che Bausch ha fatto col balletto contemporaneo: le ha dato un’espressività e una forza così umane e simboliche da lasciare tutti senza fiato. Come la coreografa, ha stravolto i movimenti, le perfezioni e le impostazioni dell’alta moda classica pescando dalla sua memoria, dalla sua tradizione per poi portarle altrove, lontano, in un territorio libero e senza freni.

Kaia Gerber in Valentino Haute Couture
Ogni look è puro teatro, come succede appunto con Pina Bausch: più che di abiti, si tratta di assoli, performance isolate senza un’ispirazione precisa, momenti di teatro che procedono in solitaria scrivendo capitoli diversi dentro un’unica storia. “Per la prima volta ho provato davvero a non pensare”, racconta Piccioli, “ho voluto procedere col cuore senza fissare un tema. Certo, ci sono la mitologia, il Rinascimento, il Settecento, i costumi di Piero Tosi, la Medea di Maria Callas e Pierpaolo Pasolini. Ma sono pezzi, memorie di un assembramento più ampio. A dire il vero, mi ha fatto molto pensare un video che abbiamo girato qualche mese fa in cui una nostra sarta ricordava di aver visto un abito fatto in atelier a una mostra al Victoria&Albert Museum di Londra. Disse che guardarlo era come vedere il padre che era scomparso proprio mentre lo realizzava, qualche anno prima. Ecco, io penso che la materia, soprattutto quella dell’alta moda ma più in generale di tutte le cose belle, assorba in qualche modo le emozioni e che queste in qualche modo la cambiano. La materia diventa così memoria e io mi sono sforzato proprio di ragionare in termini di memoria della couture e della bellezza, di come immaginiamo o ci ricordiamo della bellezza”.

Pierpaolo Piccioli
L’insieme dei circa sessanta look è esattamente così: un tributo alla bellezza della couture storica che non è didascalia o citazione, ma un punto di partenza che porta da tutt’altra parte. Il lavoro d’atelier è sbalorditivo: tutto è volume, delicatezza, colore, preziosità. È un teatro dove la tradizione incontra il glamour, l’invenzione la modernità. È come vedere gli insiemi di ballo di Pina Bausch, performance in cui un movimento qualunque, un gesto quotidiano diventano più potenti e più significativi di una pirouette o di un plié. Le pieghe trattenute, i plissé nascosti che diventano nuvole di seta, le cascate di paillettes color smeraldo, gli alveari di cashmere double, le decine di metri di satin che sembrano leggeri come una folata di vento, non hanno quindi la supponenza della sartoria ma l’inconsistenza dei sogni. Di più: trasformano l’eleganza in gesti naturali, in attitudine contemporanea. Ed è questo, forse, il grande pregio di Piccioli: aver ridato libertà al glamour e alla bellezza della couture senza lasciarla nel passato. Anzi: provando a scrivere nuovi capitoli e nuove direzioni per il suo significato.

 

Fonte: Repubblica.it

Dior Haute Couture: la moda che reagisce alla semplicità dei populismi

“Sia chiaro: questi vestiti in foto non rendono niente”. Non ha mezze misure e non fa certo giri di parole Maria Grazia Chiuri, la stilista italiana a capo di Dior. “Non solo”, continua: “qui a Parigi mi devo spiegare in tre lingue di cui due non sono le mie”. È un fiume in piena e ogni collezione è un’esondazione. La nuova sfilata haute couture, poi, è forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Ho fatto una collezione che non si può giudicare dalle immagini e che non vuole essere appariscente, scontata, fotogenica. Al contrario: voglio riportare l’attenzione sui volumi e sulle costruzioni, non sulle superfici o sugli effetti speciali”. Praticamente una dichiarazione di guerra: perché a guardare ogni completo che arriva in passerella, tutto sembra piatto, un filo dèjà-vu, quasi minimalista. Invece è esattamente l’opposto.

Il punto di vista di Maria Grazia Chiuri
“Stiamo vivendo un’epoca in cui siamo troppo chiusi nel presente, in una successione frenetica di istanti e di immagini fuggenti. Ho pensato questa couture come una reazione a questo atteggiamento. Nella sua interezza, la collezione è pensata innanzitutto per riflettere sul valore della tradizione e sulla necessità di pensare, di sognare il futuro, non solo di vivere di presente. In secondo luogo, questo lavoro vuole essere un interrogativo su quanto è importante il tempo, su quanto tempo ci vuole per fare una cosa bella, per prendersi cura di sé. È ora di riportare l’attenzione dall’apparenza alla sostanza, soprattutto per l’alta moda. E la sostanza, in questo caso, vuol dire grande, grandissimo lavoro sui volumi, sulle costruzioni. Un impegno così grande e minuzioso da sparire, da diventare invisibile. Solo da vicino e solo per gli intenditori, quindi, questi abiti si mostrano in tutta la loro grandezza. È una sorta di didattica, di lezione di cultura e tradizione. E sì, penso che queste domande, questi valori rappresentino uno dei nodi più importanti per la contemporaneità”.
La collezione Dior Haute Couture Autunno/inverno 2018/19
Lo spettacolo silenzioso che si presenta in passerella è forse la collezione più bella e matura orchestrata da Chiuri nel suo percorso da Dior. Non ci sono furbizia, citazioni pretestuose e nemmeno slogan da stampare su una T-shirt. Non c’è decoro, funambolismo o copia/incolla da una corrente artistica o da un movimento contestatorio del passato. Il nuovo show celebra semplicemente e senza cliché la grandezza del lavoro di un atelier couture. Per farlo, cita addirittura un libro, ‘Atelier’ di Elisabetta Orsini, trattazione che rimette al centro il lavoro artistico degli atelier di grandi pittori e scrittori seguendo quanto indicato anche da Virginia Woolf nel piccolo capolavoro “Una stanza tutta per sé”. La prima manciata di look dice tutto: linea pura, tessuti studiati con le migliori aziende del mercato, materie prime piegate all’artigianato in modo da conferire leggerezza dove prima c’era pesantezza e modernità dove c’erano classicismo e spirito rétro.
Dior Haute Couture: la moda che reagisce alla semplicità dei populismi La seta doppia si scioglie prodigiosamente perdendo quella patina lucida che fa tanto antico. Il double di cashmere sembra più fresco e croccante del popeline di cotone. Le linee gloriose di tailleur e cappotto del più grande Dior diventano facili e scattanti come nessuna felpa potrebbe mai essere.
E c’è spazio anche per l’inclusività con una serie di creazioni colore pelle, o meglio nude, che in realtà sono pensate per adattarsi alle mille sfumature razziali di ogni donna che si potrà permettere questi capolavori.
Precisa, con pochi colori sapientemente calibrati al ribasso e soprattutto affilata come un coltello, la nuova collezione couture di Dior sferza un fendente alla moda furba, stilizzata, funambolica che spumeggia in superficie mentre muore e si inaridisce nella profondità del suo essere, ovvero nel ri-pensare volumi e costruzioni quindi abitudini e destinazioni d’uso. Al primo vero giorno di haute couture di Parigi è insieme una grande conquista e un monito a tornare a investire in complessità in un momento in cui anche lo stile si fa troppo facile e forse un filo populista.

 

Fonte: Repubblica.it