ç’anno nuovo, si sa, porta con sé tanti buoni propositi. Per le persone che si sono lasciate da poco, o per le persone che sentono di essere dipendenti dal proprio partner, l’obiettivo del 2018 potrebbe essere imparare a stare da soli o, per dirla in modo migliore, imparare a star bene con se stessi. Un passo sicuramente non semplice ma che, con il giusto impegno e la giusta determinazione, può essere alla portata di tutti. Ne abbiamo parlato con Maria Elettra Cugini, psicoterapeuta di lunga data e autrice, tra gli altri, dei libri “Single con gioia. L’arte di star bene con se stessi” e “Trovare la giusta direzione nella propria vita”.
Perché stare da soli ci fa ancora paura?
La solitudine, di per sé, non è né una cosa positiva né negativa. Si tinge dei colori della propria personalità. In inglese esistono due termini: alone (solo) e lonely (sentirsi solo). Nella lingua italiana questa differenziazione non c’è. Tutto dipende da come noi viviamo questa solitudine.
Quali sono i fattori che rendono più difficile lo stare da soli?
Principalmente si tratta di tre fattori. In primo luogo un cattivo rapporto con se stessi, scarsa autostima e scarsa autonomia. Questo genera dipendenza affettiva, perché il non saper contare su se stesse rende le persone dipendenti dalle altre e, se queste vengono a mancare, fa star male. In questi casi si può avere anche la tendenza a considerare indispensabile la compagnia e il supporto degli altri e a non riuscire ad apprezzare la compagnia di se stessi, ad esempio leggendo, dedicandosi alle proprie passioni e a quello che può rendere piacevole la propria vita. In secondo luogo un cattivo rapporto con gli altri. Spesso succede perché non si ha la capacità di costruire rapporti maturi che arricchiscano la nostra esistenza senza creare dipendenze. In terzo luogo un cattivo rapporto con la propria vita, ossia la difficoltà di trovarle un significato, anche mutevole. Il significato chiaramente cambia da quando si è adolescenti, a quando si è maturi, fino a quando si è anziani. È necessario adeguarsi e accettare il cambiamento, trovando sempre un senso diverso alla propria esistenza.
Come si fa a creare rapporti con gli altri che non siano di dipendenza?
Il primo passo è probabilmente dare un significato alla propria vita. Il fatto di riuscire a trovare una giusta direzione aiuta anche a stare da soli e a non cercare negli altri la risposta al senso della propria esistenza. Attenzione però: l’altro è e deve rimanere importante nella nostra vita, ma non deve essre indispensabile. Solo noi siamo indispensabili a noi stesse. Se una persona ha un buon rapporto con se stessa, una buona autostima, se conosce le proprie capacità e tendenze diventa autonoma e non più dipendente dall’altro.
Cosa può succedere quando non si punta su noi stessi?
Spesso vengono da me signore di una certa età che hanno puntato tutto sui figli e sul marito. Arriva però un momento in cui tutto questo può sciogliersi: i figli vanno via di casa, ci si separa o si perde il compagno. A questo punto queste donne si sentono perse, perché non hanno mai puntato su loro stesse, ma hanno sempre vissuto in funzione degli altri. È inevitabile che a quel punto si sentano sole e disperate.
A questo punto devono fare uno sforzo maggiore per uscire da questa situazione…
Esatto. Riscoprire se stessi può essere un compito difficile se non lo si è mai svolto. Molte persone vivono per forza di inerzia, si fidanzano e mettono al mondo figli senza chiedersi cosa amano davvero. Cercano affannosamente l’altro, senza il quale stanno male. La carenza di interessi rende aridi e infelici. Una donna, arrivata a questo punto, deve riscoprire cosa le piace, cosa la diverte, questo porta a stare bene da soli.
Come dicevamo prima, la solitudine di per sé non è negativa
La solitudine può appagare un bisogno grande che c’è in ognuno di noi, un bisogno di libertà. Diverse ricerche sottolineano che molte donne, soprattutto dopo i 45, sono assolutamente soddisfatte del loro status di single . Il bisogno di libertà però non deve essere portato all’estremo, perché poi si può arrivare a non voler mai stare con gli altri perché non si è in grado di relazionarsi con loro.
Altro che zitelle: le donne single sono felici, soprattutto dopo i 45 anni
LEGGI
Chi soffre maggiormente nell’essere single?
Sicuramente le persone che hanno sempre vissuto in coppia. A un certo punto sono costrette a riscoprire la capacità di muoversi autonomamente. Quando per la prima volta sono entrata in un cinema da sola mi sono quasi sentita una persona di serie b, poi però mi sono resa conto che il film lo vedevo benissimo anche da sola e che mi piaceva. Un’altra volta ero in vacanza con una mia amica e nel ristorante dell’hotel c’erano solo coppie. Finita la vacanza abbiamo scoperto che ci avevano soprannominato “quelle contente”, perché negli altri tavoli le coppie neppure si parlavano. Spesso semplicemente si è vittime degli stereotipi, si pensa che una donna che non ha una relazione sentimentale non sia né realizzata né serena. A volte però chi è single è molto più felice e gratificato di chi sta in coppia. È il modo di porsi con se stessi a fare la differenza. Chi sta da solo spesso è più padrone della sua vita e non deve sempre conciliare le sue esigenze con quelle degli altri.
Allo stesso tempo, nella nostra società c’è un eccesso di egocentrismo
Sì è così. E questo rende difficile l’adattamento a un’altra persona. Oggi si tende a restare da soli pur di non affrontare lo sforzo di sintonizzarsi con l’altro, c’è la paura dell’altro. Neanche questo è positivo.
In ogni caso, la società si aspetta che tutti si sposino
Sì, è ancora prevalentemente così. A una single viene spesso chiesto quando troverà un compagno e si sposerà, come se questo epilogo fosse una cosa scontata. Bisogna uscire dalla ricerca della felicità in senso assoluto e cercare interessi, cose che facciano stare bene e che non si trovino necessariamente in un partner. Ci vuole fortuna ad incontrare qualcuno che ci rispecchi, non è facile. La propria realizzazione va cercata in ogni caso dentro se stessi, mai al di fuori. È importante non farsi condizionare dal giudizio degli altri e sapersi auto-valutare, sapersi dire “io sto bene così”.
La dipendenza dal giudizio degli altri è deleteria
Facciamo spesso l’errore di dare troppo potere al parere degli altri e di farci condizionare. È fondamentale capire che non andremo mai bene a tutti. C’è una celebre storiella che racconta di un anziano, un bambino e un asinello. All’inizio sull’asinello è seduto solo il bambino e, al loro passaggio, un gruppo di persone si lamenta perché l’anziano sta camminando a piedi mentre il bambino, che è più giovane, è sull’asinello; l’anziano fa scendere il bambino e sale sull’asinello, passano davanti a un altro gruppetto di persone che si lamenta dell’egoismo del nonno; il nonno allora mette il bambino sull’asino davanti a sé e passando davanti a un altro gruppetto vengono accusati di sfiancare l’asinello; i due scendono entrambi e, passando davanti a un altro gruppetto, di persone sentono dire “guarda quei due che fessi, hanno un asinello e vanno entrambi a piedi”. Se si punta sull’avere l’approvazione di tutti, li scontenteremo sempre. Il suggerimento è tapparsi le orecchie e andare avanti per la propria strada. Si deve capire da soli come si vuole camminare, dove si deve andare e non comportarsi in un determinato modo solo per compiacere gli altri: in quel modo ci si adegua alle aspettative degli altri e si perde se stessi.
Quali sono i suoi consigli per imparare a star bene da soli?
La cosa fondamentale è conoscere se stessi. Se uno non sa cosa gli piace e che significato vuole dare alla sua vita non può raggiungere la serenità. Deve guardare dentro se stesso, anche perché non sempre negli altri ci si può riconoscere. La maturità in fondo è questa: conoscersi e andare avanti per la propria strada. Un ottimo modo per vincere la frustrazione dello stare da soli è rendersi utili agli altri, perché ciò può dare un senso positivo alla nostra esistenza, facendoci sentire realizzati. Lo sanno bene i tanti volontari che oggi contribuiscono significativamente al benessere della nostra società nei campi più disparati, ma anche coloro che cercano semplicemente di guardarsi intorno per essere d’aiuto a chi ha bisogno di cure, di ascolto o di un po’ d’attenzione, anche nella propria famiglia. La solitudine infatti non deve diventare sinonimo di egocentrica ed arida chiusura al prossimo, o ci renderà necessariamente infelici.
A livello pratico, da dove si può partire?
Ci si deve chiedere: “Come posso vivere bene la mia vita? Cosa voglio ottenere? Quali sono le mie fonti di svago?”. Spesso le persone senza un compagno vengono viste come frustrate, ma la frustrazione è dentro di noi. Per questa ragione il consiglio è centrarsi su se stessi, sui propri interessi, sulle proprie capacità di realizzazione. Ad esempio si può iniziare andando a vedere da soli un film al cinema, a prendersi un caffè, a fare una passeggiata da soli senza meta. In questo modo ci si coccola e ci si prende cura di se stessi. Quando una persona non è autonoma il rischio è che si accontenti del primo che passa. Stare da soli permette di acquisire la capacità di scelta. E questo discorso dovrebbe continuare a farlo anche chi è in coppia.
Fonte: Repubblica.it