Crepet: violenza, molestie, l’indignazione ai tempi di internet è superficiale. Impariamo a dire di no

Sempre più spesso ci arrabbiamo, critichiamo e ci lamentiamo di quello che vediamo intorno a noi, ma il più delle volte restano discorsi che rimangono in superfice o frasi scritte sui social network, segni opachi di una mancata e reale capacità di cambiare le cose. Per dire no, per opporsi in modo efficace non serve solo lo sdegno, ma anche una forza morale, “un’azione di cuore”, come afferma il noto psichiatra e sociologo, Paolo Crepet, che ha affrontato questo tema nel suo ultimo libro, “Il coraggio” (Mondadori, 18,50 euro). Abbiamo conversato con lui, per capire cos’è oggi l’indignazione, come non va confusa con le chiacchiere da bar online e perché è indispensabile attivarla nella nostra vita, soprattutto davanti a tematiche urgenti e importanti, come la violenza contro le donne, a cui è dedicata la Giornata internazionale del 25 novembre, per combatterla ed eliminarla dalla società.

Cos’è l’indignazione ai tempi di Internet?
“Quella digitale sembra essere diventata sinonimo di insultare e screditare l’altro, perché la cosa curiosa è che ci si arrabbia più con le persone che con le loro idee. Questo tipo di indignazione dà solo spazio alla volgarità, la rende lecita, e non crea nessun cambiamento, quindi ha solo una funzione sterile, di sfogo fine a se stesso. E poi ci si irrita per ogni cosa, molte volte seguendo l’argomento caldo del momento, tanto per partecipare allo sdegno comune, perché non sempre si ha cognizione di causa e quindi si improvvisa. Si è talmente abituati a questo atteggiamento “contro”, che la sua reiterazione porta a svilire la sacralità dell’indignazione, a depotenziarla e a togliere significato e valore alla parola stessa. Arrabbiarsi e litigare sui social è facile e non comporta nessun sforzo, nessun coraggio, qualità quest’ultima invece indispensabile per attivare un vera trasformazione”.

Alla luce di questo, allora, che cos’è la vera indignazione?
“Intanto l’indignazione deve essere una tantum, non può essere una prassi quotidiana. Sant’Agostino affermava che “la speranza ha due figli bellissimi: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle”. Ed è proprio così, perché dopo aver detto no, bisogna trovare l’audacia e la risolutezza per migliorare le cose. La sorella indignazione non è laconica, non è limitata a se stessa, ma ha assolutamente bisogno del fratello coraggio per attuare un ricambio, una mutazione della realtà. Il coraggio di indignarsi è il vero motore di una civiltà, perché crea un movimento, una fatica, ma è l’unica strada per mandare avanti la locomotiva della nostra comunità”.

Nel libro afferma che l’indignazione non è alla portata di tutti
“Confermo, perché per disapprovare, devi prima conoscere, approfondire, sapere, costruire una visione opposta a ciò che intendi mettere in discussione. Come può nascere lo sdegno da conoscenze impressionistiche e approssimative?
Non puoi sparare nel mucchio se poi vuoi metterlo in pratica sul serio. Per indignarsi, serve cultura, nel senso che bisogna conoscere bene il tema, in modo profondo e non superficiale, al punto tale da sviluppare una forza critica per contrastare quello che non piace”.

Come si fa a esercitare il coraggio di indignarsi per cambiare veramente le cose?
“Impegnandosi in prima persona, anche se tutti gli altri continuano a stare seduti a borbottare. Serve assumersi la responsabilità della propria intelligenza, del proprio talento e usarla per trovare una direzione definita, un obiettivo preciso da raggiungere, che possa ribaltare lo stato delle cose che ci fanno arrabbiare. Fare questo vuol dire utilizzare il diritto della libertà: la libertà a dire no, a non perdersi in una critica generalizzata, a pensare con la propria testa, vivendo così dignitosamente in linea con se stessi. Perché quando si dice quello che realmente si pensa, quando ci si sforza a porsi domande e a trovare risposte diverse da quelle convenzionali, quando si mette in pratica con vigore lo sdegno, non ci si accomoda più sui propri limiti e si vince su stessi, apportando un miglioramento anche nella società”.

Spesso l’indignazione digitale dà vita a una sorta di brontolio, a volte anche aggressivo e spietato, rischiando di minimizzare i problemi e di creare confusione. Un po’ com’è avvenuto sulla vicenda delle molestie sessuali
“Mia madre è stata una grande femminista, ha lavorato per aiutare giovani donne e in quegli anni lì non era facile. Si figuri, quindi, se io non posso che essere solidare e avere complicità con tutto il mondo femminile, quando viene molestato e subisce violenza, psicologica e fisica. Questa è una premessa necessaria. Dopo di che, va detto che io non sono abituato a dire che è tutto bene o tutto male, ma credo che vada fatta chiarezza. Questa situazione ha fatto emergere una nuova sensibilità femminile, ma dal mio punto di vista il coraggio vero delle donne è dire no davanti a dei ricatti. E gli abusi di potere non vanno confusi con la violenza sessuale, perché è un’altra cosa. Bisogna stare attenti a usare le parole in modo specifico. Quando si subisce violenza, si è costrette con la forza a fare ciò che non si vuole. L’abuso di potere, quello agito da chi promette un ruolo in un film o un avanzamento di carriera in un’azienda in cambio di sesso, è un’intimidazione bella e buona. Tutta questa faccenda io la guardo in quanto padre di una figlia. A sentire quello che è successo a determinate ragazze, visto che le cose sembrano andare così secondo qualcuno, che dovrei insegnare a mia figlia? Che esistono determinati compromessi a cui va detto di sì? Questo io lo trovo inconcepibile, perché è un principio che non condivido affatto. Bisogna tirare fuori l’amor proprio, la propria autostima. Una donna – ma anche un uomo, perché può accadere a tutti di affrontare un ricatto, a prescindere dal genere- che non è stata capace a dire no e ha accettato un baratto, probabilmente non ha la consapevolezza di sé e del proprio valore. E questo la porta a essere alla mercé degli altri. È vero, se dici di no sai benissimo che non avrai quella promozione o non farai quel film, ma la domanda da farsi è se vuoi vivere ottenendo queste cose a tutti i costi e sentirti sporca oppure scegliere la dignità. Perché quando accetti una volta, accetti anche la seconda, dato che crei un precedente. Bisogna essere pronte a dire no, pur di non ledere la propria dignità, perché per realizzarsi vanno messe in campo le proprie abilità e le proprie capacità, non la propria disistima”.

Parliamo di violenza sessuale. Non sempre è facile denunciare, come si trova il coraggio?
“Quando una donna subisce una violenza è importante che si faccia sostenere da una rete affettiva –amiche, sorelle, madre, anche l’attuale compagno, lo psichiatra – perché non deve fare tutto da sé e non deve sentirsi sola. La solitudine va evitata. Denunciare richiede anche il coraggio dell’indignazione, quell’istinto d’orgoglio perché ti porta a reagire, perché è stato oltrepassato un confine in modo oltraggioso. Non è solo una questione di resilienza, ma anche di morale etica. Le donne che affrontano vis-à-vis il proprio violentatore in un’aula di tribunale, credo che lo facciano anche per insegnare alle donne che c’è sempre una strada, una scelta per contrastare la violenza”.

Davanti a un uomo violento, come bisogna comportarsi?
“È fondamentale comprendere chi si ha davanti, attivando il buon senso, per capire se quell’uomo ha avuto uno scatto d’ira, vive solo un momento di difficoltà oppure si comporta sempre in modo irrispettoso, manipolando e alzando le mani. Nel primo caso si può parlare, dicendo no e spiegando il motivo, senza minacce del tipo “ti porto in tribunale e ti rovino”, evitando così di rispondere alla violenza con altra violenza, ma tirando fuori umanità. Se parliamo invece di un comportamento di maltrattamento reiterato, allora non bisogna farsi illusioni. Un uomo violento, resta tale, non cambia, anche se chiede scusa, anche se dice che sarà diverso. Mai essere ingenue e se si hanno dei figli, questi non devono essere motivo di sensi di colpa, perché bisogna sempre allontanarsi dalla violenza. E soprattutto non bisogna ricaderci, accettando regali, scusanti e richieste di chiarimenti. Non ci sono ultimi appuntamenti che tengono e se si decide di andare, mai farlo da sola, ma sempre scortata dalle amiche o familiari”.

Fonte: Repubblica.it

 

 

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